Era nuda nel bosco, nell’attesa e nella speranza che qualche belva di passaggio venisse a divorarne le carni
Era nuda nel bosco, nell’attesa e nella speranza che qualche belva di passaggio venisse a divorarne le carni, lasciandola a terra straziata come la sua anima, già sbranata da tempo immemore da un demone sconosciuto, che ogni giorno ne addentava le carni.
Tutto era trascorso quieto come la prima neve d’inverno, fino a quel fatidico giorno nel quale la folgore si era abbattuta su chi passeggiava distratta, senza sentire il bisogno di mettersi al riparo. Lui le aveva sorriso e da allora nulla era più stato limpido e cheto, ma la violenza aveva investito le viscere più veloce dei suoi battiti, 200, 250 in sessanta secondi, che non le lasciavano la forza di respirare o di pensare ad altro che non fosse lui.
E da allora era stato Ennio il torrido pomeriggio delle estati in campagna, quando le tende leggere si alzavano spinte dal vento, era Ennio la lava che nel suo passaggio fagocitava tutto ciò che vi era sul suo cammino, era Ennio il sorgere del sole il mattino e il suo trascolorare la sera, era Ennio la belva affamata che la brandiva nel buio lasciandola senza forze e speranze. Era Ennio l’Uomo della sabbia, che di notte veniva nei tuoi incubi a rubarti gli occhi, era Ennio Oz il Gvande e Tevvibile, capace di rubarti la mortalità, era Ennio il vampiro dai canini appuntiti che succhiava dalle tue vene fino l’ultima goccia di quel sangue che avrebbe dovuto portarti ossigeno e che invece nel suo scorrere ti avvelenava perché portava in circolo il pensiero di lui. Era Ennio che temeva la violenza dei suoi sentimenti, quella bramosia che non si placava, che faceva sembrare tutto ciò che era stato provato prima di lui flebile chiarore al confronto di una supernova, leggera puntura di vespa al confronto con la fucilata che aveva raggiunto il suo cuore e lo aveva spaccato in un milione di pezzi che non s’arrestavano ma continuavano a battere 200, 250 volte in sessanta secondi, senza dare spazio ad altro al mondo che non fosse lui, le sue mani forse piccole ma che a lei sembravano enormi, la sua voce stentorea che si riduceva a farfuglio quando parlava con lei, il suo sorriso che l’aveva stregata dal primo istante e che era l’unica cosa, si accorgeva, di cui era alla ricerca da quando era venuta al mondo.
Ma era Ennio anche il piccolo stelo d’erba che spuntava sull’asfalto, il flebile soffio di vento che ti passava accanto senza te ne accorgessi, il piccolo sasso modellato dalle onde sulla spiaggia. Lui era la tempesta e la bonaccia, il caldo e il freddo tutto insieme che ti faceva rabbrividire e sudare nello stesso istante.
Lui non la voleva e lei gli aveva detto che era un ipocrita, perché le aveva lasciato il suo corpo, ma si era preso la sua anima senza fare complimenti, l’aveva rapita e se ne trastullava temendo di farle del male, tentando di arginare la violenza del terremoto che la agitava, costruendo dighe per calmare la furia delle onde che volevano colpirlo.
E adesso lei era nuda nel bosco, senza paure o sgomenti, perché aveva vissuto tutti i sentimenti che in una vita era possibile provare e l’essere sbranata dalle belve non poteva essere poi così orribile come avevano detto.
01/12/2008
Era nuda nel bosco, nell’attesa e nella speranza che qualche belva di passaggio venisse a divorarne le carni, lasciandola a terra straziata come la sua anima, già sbranata da tempo immemore da un demone sconosciuto, che ogni giorno ne addentava le carni.
Tutto era trascorso quieto come la prima neve d’inverno, fino a quel fatidico giorno nel quale la folgore si era abbattuta su chi passeggiava distratta, senza sentire il bisogno di mettersi al riparo. Lui le aveva sorriso e da allora nulla era più stato limpido e cheto, ma la violenza aveva investito le viscere più veloce dei suoi battiti, 200, 250 in sessanta secondi, che non le lasciavano la forza di respirare o di pensare ad altro che non fosse lui.
E da allora era stato Ennio il torrido pomeriggio delle estati in campagna, quando le tende leggere si alzavano spinte dal vento, era Ennio la lava che nel suo passaggio fagocitava tutto ciò che vi era sul suo cammino, era Ennio il sorgere del sole il mattino e il suo trascolorare la sera, era Ennio la belva affamata che la brandiva nel buio lasciandola senza forze e speranze. Era Ennio l’Uomo della sabbia, che di notte veniva nei tuoi incubi a rubarti gli occhi, era Ennio Oz il Gvande e Tevvibile, capace di rubarti la mortalità, era Ennio il vampiro dai canini appuntiti che succhiava dalle tue vene fino l’ultima goccia di quel sangue che avrebbe dovuto portarti ossigeno e che invece nel suo scorrere ti avvelenava perché portava in circolo il pensiero di lui. Era Ennio che temeva la violenza dei suoi sentimenti, quella bramosia che non si placava, che faceva sembrare tutto ciò che era stato provato prima di lui flebile chiarore al confronto di una supernova, leggera puntura di vespa al confronto con la fucilata che aveva raggiunto il suo cuore e lo aveva spaccato in un milione di pezzi che non s’arrestavano ma continuavano a battere 200, 250 volte in sessanta secondi, senza dare spazio ad altro al mondo che non fosse lui, le sue mani forse piccole ma che a lei sembravano enormi, la sua voce stentorea che si riduceva a farfuglio quando parlava con lei, il suo sorriso che l’aveva stregata dal primo istante e che era l’unica cosa, si accorgeva, di cui era alla ricerca da quando era venuta al mondo.
Ma era Ennio anche il piccolo stelo d’erba che spuntava sull’asfalto, il flebile soffio di vento che ti passava accanto senza te ne accorgessi, il piccolo sasso modellato dalle onde sulla spiaggia. Lui era la tempesta e la bonaccia, il caldo e il freddo tutto insieme che ti faceva rabbrividire e sudare nello stesso istante.
Lui non la voleva e lei gli aveva detto che era un ipocrita, perché le aveva lasciato il suo corpo, ma si era preso la sua anima senza fare complimenti, l’aveva rapita e se ne trastullava temendo di farle del male, tentando di arginare la violenza del terremoto che la agitava, costruendo dighe per calmare la furia delle onde che volevano colpirlo.
E adesso lei era nuda nel bosco, senza paure o sgomenti, perché aveva vissuto tutti i sentimenti che in una vita era possibile provare e l’essere sbranata dalle belve non poteva essere poi così orribile come avevano detto.
01/12/2008
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