sabato 19 luglio 2008

Il castello

Il mio castello è alto e forte. Nessuno può accedervi. L’ho costruito negli anni, pietra dopo pietra.
Sulle alte torri nidificano le aquile, sui muri cresce alta l’edera, e ogni lato è vigilato da sentinelle armate.
E’ il mio castello, e nessuno ha il permesso di entrarvi. Per sradicare il ponte levatoio non basterebbe un esercito e abbatterlo sarebbe impensabile.
Il mio castello è il più grande di tutti, fa paura nella sua immensità e nessuno osa avvicinarsi. Da dentro io domino il mondo, perché il mio castello è forte, e nessuno può abbatterlo.
Non entra luce e i fiori sono banditi. Mi protegge con la sua immensità e nessuno può accedervi
Non ci sono mai state brecce nel mio castello. Ho scelto la pietra più solida, e l’ho costruito in modo che non vi fossero fessure sulle sue mura. Solo un paio, per vedere ogni tanto il mondo. E convincermi che da lì dentro posso dominarlo.
Un giorno è entrata un’ape. Mi voltai infastidita e infuriata. Nessuno può accedere al mio castello. E’ mio e le sue mura mi difendono dai fantasmi. La punizione era inappellabile e unica: morte a chiunque osi profanare le mie mura.
Ma l’ape era riuscita ad entrare in barba alle mie guardie. In un certo senso la rispettavo. Decisi di farle grazia della vita. Era un esserino minuscolo, dalle zampette pelose e così coraggioso da aver sfidato il mio predominio. Sembrava avere sul musetto un sorriso soddisfatto, il sorriso di chi è riuscito a farla in barba al mondo.
La notte seguente si sparse la notizia che qualcuno era entrato nel castello. Il mio castello, la mia fortezza dalla quale dominavo il mondo non era allora così inespugnabile! Vi fu una lotta armata tra le mie sentinelle e i fantasmi che mi perseguitavano.
Ma il mio castello è alto e forte e, come sempre, nessuno riuscì ad accedervi.
Non ho sempre vissuto qua.
Vivevo in un giardino dove i fiori sbocciavano spontanei. Nel laghetto nidificavano gli aironi e il sole vi splendeva ogni giorno. Ogni tanto il cielo mandava un temporale, ma il mio giardino da quell’acqua riceveva nuovi fiori e il laghetto nuova vita.
Le rane gracidavano al crepuscolo, e vivere lì era il più dolce dei sogni. Credevo che finchè lo avessi curato il mio giardino sarebbe vissuto per sempre, che gli aironi sarebbero tornati ogni primavera.
Poi vennero le cavallette. Vennero le cavallette e razziarono il mio giardino. I fiori appassirono e l’acqua del lago divenne melmosa. Difesi il mio giardino con tutte le mie forze, ma arrivarono i fantasmi. Arrivarono i fantasmi e a me non restò che scappare lontano, in un posto dove non potessero raggiungermi.
Il mio castello. Lo costruì pietra su pietra e mi rifugiai tra le sue mura. Adesso nessuno può farmi del male, perché il mio castello è alto e forte, e nessuno osa avvicinarsi. Da dentro io domino il mondo, perché il mio castello è forte, e nessuno può abbatterlo.
Quell’ape alla quale, con magnanimità, avevo graziato la vita mi fece venire in mente il mio giardino, e l’assurda voglia di tornare a vederlo. Ma io non potevo lasciare il mio castello. Perché fuori di esso non avrei avuto mura a proteggermi e sarei stata vulnerabile.
Colpii fortemente l’ape abbattendola al suolo. Nessuno osa avvicinarsi al mio castello, figuriamoci entrare.
Ma il giorno dopo mi accorsi che l’ape ronzava ancora. Era malconcia ma ronzava. Chi sopravvive alla condanna a morte ha diritto alla vita, è sempre stata una legge di chi regna. E così la lasciai vivere.
Il giorno dopo feci una cosa impensabile: ordinai si abbassasse il ponte levatoio e uscii fuori. Rivolevo il mio giardino. Quella piccola ape gialla mi era sembrata enormemente più libera di me. Lei andava e veniva, io stavo nel mio castello, prigioniera dei fantasmi. Non avevo chiuso fuori loro. Loro avevano rinchiuso me.
Uscii fuori e il sole mi sbattè forte sul viso. Non lo vedevo da anni. Ero sola adesso. Ma non avevo paura. Il mio castello era appena a dieci passi dietro di me, e potevo rientrare quando volevo.
All’improvviso, da dietro un muro al di là della strada vidi un giardino. Era il mio giardino. Pensavo fosse morto, distrutto dagli insetti e dalla siccità.
Invece era ancora lì, più bello di quando vi abitavo. O almeno così mi parve. In realtà c’erano erbacce e l’acqua non era così limpida, ma mai mi era apparso così bello.
Sono rimasta qui. Strappo le erbacce ogni giorno e poto le siepi. E combatto coi fantasmi che ogni tanto si ripresentano.
Il mio castello è dietro le mie spalle. Incombe su di me con la sua mole maestosa. Ma mi è di conforto sapere che è ancora in piedi e ben sorvegliato.
Non voglio tornarci mai più. Voglio sentire le farfalle sfiorarmi le spalle e i grilli che cantano la notte. Non importa se non domino più il mondo. Mi basta essere una creatura come tante che ogni giorno vede il sole.
La mia piccola ape vola sui fiori, ignara di ciò che ha combinato. Potrei metterla sotto un vetro perché non se ne vada mai più.
Ma la lascio libera e coltivo più fiori perché abbia sempre nettare. Perché finchè svolazzerà intorno non avrò bisogno del mio castello. E io metterò schiere armate a proteggere il suo alveare, affinché ella viva per sempre.

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