Eri in quella stanza buia..
Eri in quella stanza buia, i tuoi occhi mi fissavano dall'oscurità, imploranti. Avevi bisogno di me come mai prima d'ora. Saresti stato disposto a fare qualsiasi cosa per me, arrivati a questo punto, i tuoi occhi erano laghi colmi di promesse, mi guardavi quasi con affetto,cosa che non avresti mai fatto altrimenti.
Volevi parlarmi, farmi capire che saresti cambiato, che per te non sarei stata mai più quell'albergo ad ore dal quale entrare e uscire a tuo piacimento senza dare alcuna spiegazione della tua presenza o della tua dipartita.
Non ti avevo mai visto così vulnerabile, chissà cosa avrebbero pensato di te i tuoi amici in questo momento, loro che ti credevano l’incarnazione dell'Uomo, quello che entrava ed usciva da tutti gli alberghi ad ore del mondo e ogni volta era trattato come uno dei più affezionati clienti. Se solo avessero potuto vederti adesso, col sudore che ti grondava dalla fronte, mentre cercavi di sorridermi, di incantarmi un'altra volta con quelle promesse che non avresti mai più potuto mantenere. Il tuo sguardo vagante per la stanza si fermò un attimo sulla sega elettrica, che faceva capolino accanto a quella porta, a quella maledetta porta chiusa della quale io avevo la chiave. Non c'era bisogno che ti togliessi quel nastro argentato dalla bocca per sapere cosa volevi dirmi, che per te non ero un'altra come tante, che le cose tra noi sarebbero cambiate, che eri disposto a chiudere tutti gli alberghi ad ore e trasferirti in una casa, una casa vera, con tanto di tendine alle finestre e gerani ai balconi. Peccato che l'unico albergo che in questo momento era chiuso era il mio, era chiuso e per una strana combinazione del caso tu eri rimasto chiuso dentro, legato a quella sedia che in questo momento ti sembrava l'unica cosa tangibile, l'unica realtà in quel delirio onirico nel quale ti trovavi, con me sola che poteva salvarti.
Ma sapevi già che non l'avrei fatto, sapevi che nel migliore dei casi saresti rimasta a marcire su quella sedia fino a morire d’inedia, ma per ottenere quella morte quasi umana, quasi da eroi, immaginavi già di essere il novello Cristo sacrificato sugli altari dell'instabilità umana, dovevi calmarmi.
Calmare me che presa dal mio furore ti stavo in piedi accanto, guardandoti e basta. Ogni tanto il mio sguardo passava da te alla sega, e in quegli istanti i tuoi occhi si chiudevano fino a diventare simili a fessure.
Il giorno stava declinando, ma il sole moribondo non filtrava dalle finestre chiuse, avresti voluto vederlo per l'ultima volta, ma non ti sarebbe stato concesso.
Il mio accanimento contro di te arrivò al punto di strapparti la benda argentata, dopotutto ai condannati si concede sempre l'ultimo desiderio, magari avevi qualcosa da lasciare detto alle mille fatine che ti danzavano sempre intorno.
Dio, com'era diversa la tua dipartita da come l’avevi sempre immaginata. Tu steso su un letto a baldacchino con mille odalische piangenti ai lati, che ti asciugava la fronte, cercavano tutte di strapparti l'ultimo bacio, ognuna voleva essere l'ultima da te prescelta.
Il pianto, poi, era insopportabile, se ne andava il loro dio, l'idolo che avevano fatto crescere, e loro restavano lì, sole e inconsolabili, un paio si sarebbero suicidate, le altre avrebbero pregato tua madre di dare loro una reliquia del tuo essere, i tuoi capelli, oh quei tuoi capelli che tutti t'avevano tanto invidiato, i tuoi capelli erano il cimelio più ambito, ma nessuna osava avvicinare le forbici in quel momento, avrebbero atteso le tue ciglia chiuse per raparti.
E invece eri qui con me, che m'ero messa il mio vestito più bello, quello che tu avevi snobbato a quella festa perché avevi una nuova farfallina alla quale ammirare le ali. Forse dovevo mettermi la tunica bianca, quella delle sacerdotesse vediche, ma era troppo pura anche per il tuo sacrificio.
Ti strappai la benda e tu respirasti affannosamente, come se inglobare aria avrebbe potuto rafforzarti.
“Parla, bastardo, voglio sapere cosa hai da dire!”
"Sei una puttana!” gridasti
L'urlo si spense in un rantolio soffocato, il calcio in mezzo alle gambe non te l'aspettavi, no, non era cosi che funzionava, ma se era una tattica per farti fare fuori subito ti sbagliavi di grosso. Avevo detto a tutti che partivo, potevo restare con te lì sotto per giorni.
“Acqua, Mauri, dammi dell'acqua, te ne scongiuro!”
Risi. Ridevo forte, tu che scongiuravi era una beffa a quell'immagine dì santo al quale si prega che ti eri costruito da anni.
“Non hai mai bevuto acqua in tutta la tua vita. Ti porterò un Johnnie Walker!" risposi.
Non volevi bere, volevi restare lucido, la lucidità era troppo importante ora, se solo tu fossi riuscito a liberarti le mani avresti potuto stendermi, sapevi fino a che punto ero capace di difendermi, ti sarebbe bastato prendermi da dietro per immobilizzarmi, aprire quella maledetta porta ed andartene.
“Ti prego, Mauri, vieni vicino a me, siediti sulle mie gambe, abbracciami.”
“Non hai mai voluto abbracciarmi in tutta la tua vita. Dicevi che era da frocio!”
“Ho detto cose spaventosamente stupide, ma cambierò, te lo prometto. Lo sai che non m'è ne mai fregato niente delle altre, lo sai che era solo per passare il tempo. Ti ricordi quando siamo andati al mare e abbiamo affittato la…”
Il tuoi discorso si spense in gemiti. Oh, si, me lo ricordavo benissimo! Quando ti eri messo a fare il pappagallo con le straniere del pedalò in difficoltà, avevi fatto il lupo di mare, ci mancava poco che ti tatuassi un'ancora per essere più credibile.
"Se hai smesso di percorrere il viale della rimembranze e hai qualcosa di intelligente da dire parla, altrimenti ti rimetto la benda. Non sopporto l'espressione da vitello moribondo che hai!”
Non mi ero persa il gusto delle citazioni neanche in quel frangente.
“No, ti prego, non rimettermi la benda. Ti prego, dimmi cosa vuoi, ti darò tutto quello che vuoi ma slegami, vieni qui, è tanto che non stiamo insieme, lo so che sono stato un po' distante nell'ultimo periodo, ma ho lavorato, tu pensi che io sia buono solo per fare il cicisbeo ma ho lavorato, ho capito tante cose, ero ad una svolta nella mia vita, tu non puoi farmi questo adesso, io avevo dei progetti per noi, io…”
Forse romperti la lampada in testa non era stata una buone mossa, ma avevo voglia di scagliarti addosso tutta la casa, di sbatterti la testa al muro fino a farti uscire le cervella.
Quando rinvenisti eri di nuovo imbavagliato, e la luce del sole, solo un pallido ricordo.
Sonnecchiavo in un angolo e fui svegliata dai tuoi mugugni.
“Cosa c’è adesso?”
"Devo fare pipì ti prego, non ce la faccio!"
Volevo dirti di fartela addosso, tanto ormai per te nulla poteva avere più importanza, ripensandoci ora forse sarebbe stata una buona umiliazione, ma sul momento non mi sembrò affatto poetico, mi sembrava di infangare qualcosa di sacro, gettare pipì sul sacrificio sarebbe stato blasfemo.
"Stai lì buono, che cerco qualcosa dove fartela fare!”
So che cercasti disperatamente di avvicinarti alla porta, volevi scappare con tutta la sedia, raccontare di come ti avevo rapito e seviziato, avresti inventato particolari raccapriccianti.
Ti trovai vicino la porta.
"Voglia di sgranchirti le gambe?"
Ti guardai e risi.
"Devo sbottonarmi i pantaloni."
“Te li sbottono io, amore, tanto sono sicura che non te li sei mai sbottonati da solo in tutta la tua vita."
Se era una mossa per costringermi a slegarti le mani o le gambe avevi sbagliato. Ti feci fare pipì seduto com'eri.
"Mauri, pensa a mia mamma, mia mamma ti ha sempre voluto bene, ha sempre detto che eri una persona speciale, sarà molto addolorata.”
"Tranquillo, cocco, la tua mamma non ne saprà mai niente, le ho mandato una lettera in cui le comunichi che sei scappato all'estero con una delle tue puttanelle. Ho anche scritto che le vuoi bene, anche se su questo non sarei disposta a giurare."
"Mauri, chiudiamo tutto, farò finta che sia stato un brutto sogno!"
"L'incubo deve ancora cominciare!”
I tuoi occhi si spalancarono alla vista del set da chirurgo.
“Ti ricordi quando dicevo che volevo fare i murales con il sangue di qualcuno? Bene, quest'onore toccherà a te, sporco bastardo. E le tue animette ipocrite piangeranno sul tuo cadavere senza sapere che sto vendicando anche loro."
Cominciai dagli avambracci, poi due tagli sulle guance. Diventavi sempre più debole mano a mano che il sangue fluiva, vi erano attimi in cui sembravi essertene andato, altri in cui mi guardavi sgomento, con negli occhi la preghiera disperata di chi sa già non sarà esaudito. Lo spillone era lungo e sottile, ma allo stadio in cui eri ormai non ti avrebbe fatto molto male.
“Sai, è una pura formalità. Te lo pianto nel petto perché saresti capace dì diventare un non morto e venire a spaventarmi di notte. Dovrei dire che te lo pianto nel cuore, ma dubito che tu ce l'abbia. Di’ le tue preghiere, falenuccia impaurita, perché ti assicuro che saranno proprio le ultime.”
“Volevo ... chiederti...”
“Chiedi pure, l'ultimo desiderio dei condannati è sacro, anche se non so se la regola si applica agli immolati!”
Ci pensasti su un attimo, poi, proprio nell'istante in cui il mio spillone penetrava nella tua carne (com'era bello che le parti s'invertissero, tu che avevi passato l'esistenza penetrando corpi e anime altrui) parlasti. Fu un sussurro quasi impercettibile, ma io sapevo già cosa mi avresti chiesto.
“Ti prego, Mauri, lasciami le palle!”
domenica 15 marzo 2009
isterica
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1 commento:
Un pò "Misery non deve morire"...un pò "Hostel"...un pò "Il collezionista di ossa"...un pò "Pulp fiction"...eh sì, Mauri...questo pezzo l'ho trovato molto...come dire...CINEMATOGRAFICO...spero non sia autobiografico...e non perchè mi faccia pena il bastardo in questione...ma perchè la scena finale che immagino - cinematograficamente parlando - è il pianto isterico della protagonista...Baci...e non piangere mi raccomando...
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