mercoledì 22 settembre 2010

Anedonia


Primo capitolo del nuovo romanzo


Si pensa che chi esce dalla nostra vita lasci un vuoto che verrà colmato da qualcun altro. Come se il cuore fosse un enorme stanzone, con un bel divano al centro, un grande lampadario che resta acceso nei giorni migliori, proiettando scintillanti arcobaleni di cristallo su tutto ciò che contiene, un caminetto che espande calore e sicurezza. Finché quello stanzone resta occupato ci diamo da fare affinché la temperatura sia sempre ottimale, ci preoccupiamo non restino cartacce sul pavimento, che le tende alle finestre siano sempre pulite ed odorose di fresco. Ognuno fa il meglio che può affinché il soggiorno di chi dimora in quella stanza sia piacevole.
Altre volte abbassiamo la temperatura a livelli glaciali, quasi per impedire che chi è dentro possa muoversi e spaccare le fragili finestre che abbiamo incorniciato con tendine di seta.
La verità è che temiamo tutti che il nostro cuore, che tanto abbiamo fatto per abbellire, sia preso da qualcun altro per un albergo ad ore, dal quale entrare ed uscire senza pagare il conto. Quando l'ultimo inquilino va via siamo indecisi se lasciare la stanza sgombra e sbarrare le finestre o attendere il prossimo che verrà ad occuparla. In realtà i nuovi arrivati si limitano ad occupare la stanza adiacente, mentre coloro che già abitavano il nostro animo restano, con lo stesso dolore che li caratterizzava quand'erano soli. Non si può sfuggire ai ricordi. Si può sfuggire al dolore, annebbiandolo in bicchieri colmi d'alcool e in paradisi artificiali fatti di diazepam e barbiturici, ma non al ricordo.
Esso resta, a volte ha la decenza di tacere rinchiuso in un angolo, ma non vi è modo di scacciarlo. Devi imparare a convivere con lui, oppure ad ignorarlo.
Ignorarlo quando ti strappa le viscere nel cuore della notte, quando fa capolino nei momenti più insensati, quando non vi è razionalmente nulla che potrebbe richiamarlo alla mente.
Ma lui è dotato di una fantasia sfrenata, ha la capacità di associare cose mai viste con altre già vissute, ti pugnala alle spalle nell'attimo in cui sei distratto e lascia una nuova cicatrice. Forse è il meccanismo perverso che abbiamo inventato per assicurarci l'immortalità, per far sì che anche dopo la nostra dipartita continuiamo a vivere nei pensieri altrui. Capisco il ricordo legato ai meccanismi di sopravvivenza e di evoluzione, ma non sono ancora riuscito a capire il ricordo legato a ciò che ci ha fatto male.
Ma poi rifletto sul fatto che noi non ricordiamo ciò che ci ha fatto male. Nel momento in cui l'ultimo inquilino scompare dalla realtà rimanendo un'esile ombra all'interno di quella stanza noi non ricordiamo ciò che ci ha fatto male. No, il nostro ricordo è perennemente focalizzato su quello che ci faceva ridere, sui momenti di gioia assoluta che non si ripeteranno. Quando la leva passa dal ricordo dei bei momenti a quello di ciò che detestavamo siamo salvi.
Perché la rabbia è un sentimento forte quanto e forse più dell'amore, e riesce a scacciare ciò che vogliamo impedirci di provare. Ma finché rimane il rimpianto non c'è verso di occupare la stanza adiacente.
Siamo soli. Siamo soli e ci sentiamo indifesi, nudi in una sala colma di gente ben vestita che sorseggia cocktail. Abbiamo fallito mentre gli altri sembrano tutti personaggi epici capaci di rialzarsi più forti ed immortali ad ogni sconfitta. Ammesso che ne abbiano mai avute.
Ti nascondi in un angolo. Non vuoi che ridano di te, ma sai che lo stanno facendo. Loro lo sapevano, assai prima di te. Loro sapevano che anche quest'ultimo sarebbe andato via. Lo avevano profetizzato in tempi non sospetti e tu li avevi snobbati dicendo che non sapevano di cosa andavano farfugliando.
Perché niente e nessuno al mondo avrebbe potuto separarvi questa volta. Perché tutti i sentimenti degli abitanti del mondo sommati insieme non riuscivano lontanamente ad assomigliare a ciò che provavate.
Erano tutti invidiosi e meschini. E forse lo erano sul serio. C'è qualcosa di animale nell'essere umano che fa sì che si goda delle disgrazie altrui. Non sopportiamo la felicità negli altri perché abbiamo il timore che a noi sia negata.
Perché abbiamo paura di non meritarla.
È solo per questo che ci stupiamo di vedere gli altri felici. Perché non riusciamo a capire cos'abbiano fatto per meritarlo. Li osserviamo cercando di carpire il loro segreto, di scoprire se veramente siano più in gamba o più belli di noi. La verità è sempre molto più banale delle nostre aspettative: nessuno merita ciò che ha, ha solo ciò che gli capita. E non serve interpellare volontà divine o karmiche. Ci appoggiamo a queste perché vorremmo che il mondo fosse retto da leggi meccaniche, che ad ogni azione corrispondesse un'adeguata reazione assolutamente logica. Ma non è così che funziona.
Non esiste logica nei sentimenti. Ti innamori della persona sbagliata. E non puoi farci nulla. Scarti decisamente ciò che a rigor di logica potrebbe essere il meglio per inguaiarti in situazioni paradossali. Quel che è peggio è che non ti innamori mai di qualcuno per quello che è. Puoi arrivare ad amarlo per quello che è, ma all'inizio ti innamori di ciò che credi che sia. Di ciò che a te fa comodo credere che sia.
Poi col tempo accetti anche quello che non corrispondeva alla realtà. Oppure no. Molte storie finiscono per questo, perché all'inizio tutti mentono. Nessuno avrebbe mai il coraggio di mostrarsi nella propria cruda nudità e fragilità. Ci costruiamo un bel pacco intorno atto a celare ciò che realmente siamo. Siamo delle uova di pasqua delle quali, se va bene, è scritta all'esterno la sorpresa. C'è chi è come me, un enorme uovo decorato di zucchero del quale si ignora cosa ci sia dentro. Una volte mi chiesero il perché fossi così fissato con il mio aspetto esteriore. Lo sono perché se hai in mano un uovo bellissimo non lo spacchi a meno che tu non sia certo di trovare dentro qualcosa che valga più dell'uovo stesso. Nessuno spacca un uovo decorato per una macchinina. Ma chiunque lo spaccherebbe se sapesse che dentro ci sono diamanti. Io sono fissato col mio aspetto perché ho sempre cercato qualcuno che riuscisse a vedere al di là dei miei addominali scolpiti e dei miei occhi azzurri. Forse sarebbe più logico cercare di imbruttirsi, ma io sono contorto e perverso. Del resto la letteratura non è mai stata innocente.

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