martedì 8 febbraio 2011

Anedonia. Capitolo terzo


Anedonia capitolo terzo. Quand'ero bambino nella strada sotto casa mia abitava un tipo particolare. Era un vecchietto curvo, con penetranti occhi e difficoltà nel movimento, che gestiva una piccola bottega di alimentari. I ragazzini lo prendevano in giro ma lui non se ne curava. Lo attribuiva all'entusiasmo giovanile e sorrideva. Di quell'uomo si raccontavano le storie più assurde. Sembrava essere arrivato dal nulla una sera d'autunno. Era apparso in strada e aveva preso in affitto una piccola casa e la bottega. Diceva di chiamarsi Mario e di arrivare dal nord. Mio padre sosteneva che nessuno aveva quell'accento, era convinto che fosse uno straniero venuto a rifugiarsi qui per sfuggire alla giustizia. Nei racconti più romantici del vicinato era un eroe ricercato per crimini politici che era riuscito ad imbarcarsi illegalmente. Qualunque fosse la verità nessuno venne mai a cercarlo. Si alzava ogni mattina di buon'ora, apriva il suo negozio e stava tutto il giorno lì dentro a vendere pane, latte e ogni altra cosa ci si aspetti di trovare in una bottega di quartiere. Questo ufficialmente. Perché si narrava altro di lui. Si diceva che vendesse pozioni magiche alle ragazze per fare innamorare chi pareva loro, che vendesse rimedi per evitare le gravidanze e che poi avesse un tipo di merce molto particolare. Vendeva sogni. C'era chi era pronto a giurare che Mario fosse capace di venderti il tuo sogno più segreto, quello che neanche tu pensavi di possedere. Come fossero fatti questi sogni nessuno me lo disse mai. Io li immaginavo rinchiusi in ampolle come quelle degli stregoni, colorate e fumanti. Bevevi il contenuto della fiala e il tuo sogno si avverava. In effetti il vecchietto parlava spesso di sogni. Uno dei suoi consigli preferiti era: “State attenti a quello che desiderate. Potrebbe avverarsi prima che siate pronti a riceverlo”.
Sosteneva che non ci fosse nulla di irrealizzabile. Detto da un tale che nella vita non aveva trovato di meglio che restare dietro un bancone ad ascoltare continuamente le chiacchiere di chiunque entrasse non sembrava veritiero. Se era vero che ognuno poteva ottenere tutto ciò che voleva, e se era vero che lui aveva scoperto come fare, allora aveva decisamente sbagliato strada. A che serviva aver scoperto i segreti della felicità se poi si restava chiusi in una cittadina di provincia dove alle otto di sera tutti correvano inesorabilmente a casa in attesa del tg? Non ebbi mai modo di chiederglielo, così come non ebbi mai modo di sapere se fosse vero quello che di lui raccontavano in giro. E soprattutto senza aver mai visto nessuna delle sue ampolle contenenti i miei sogni.
Non so perché pensassi a lui in quei giorni. Immagino lo facessi perché tutto era terribilmente destabilizzato e destabilizzante. Avevo un disperato bisogno che qualcuno mi spiegasse come era potuto succedere. Avevo soprattutto bisogno che qualcuno mi spiegasse il perché. Volevo essere assolutamente certo di non avere nessuna colpa, neanche marginale, del crollo improvviso della mia vita.
Anche se continuo a ritenere che nessuno sia innocente a priori. Abbiamo tutti degli errori da cui vorremmo fuggire e li neghiamo. Ci illudiamo di aver fatto tutto il possibile perché così stiamo in pace con la nostra coscienza. Ma sappiamo che non è vero.
Questo era un altro dei tarli che mi rodevano il cervello mentre aspettavo che il maledetto giorno finisse, pur sapendo che l'indomani ne sarebbe arrivato un altro identico a prenderne il posto. La sentenza comune era unanime: io avevo fatto tutto ciò che era in mio potere. Lei stessa andandosene aveva detto che non era colpa mia. Ma io continuavo a non crederle. Non potevo farlo. Perché se era stata colpa mia in qualche modo avrei potuto rimediare. Sono sempre stato persuaso che non vi è nulla al quale non si possa porre rimedio. Ma se non era colpa mia... voleva dire che sul serio tutto era basato su una casualità che mi sgomentava, che non potevo gestire e che era completamente fuori dal mio controllo.
Ma forse è meglio partire dal principio.

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