domenica 2 giugno 2013

Anna (La triste regalità delle semibrevi)

Il tuo problema è questo, Simon. Che tu non accetti più di un sorso d’amore perché hai paura che l’ondata ti possa annegare. 


Il tuo problema è questo, Simon. Che tu non accetti più di un sorso d’amore perché hai paura che l’ondata ti possa annegare. Ma se solo ti lasciassi andare, se per una volta ti lasciassi travolgere dalla piena, senza pensarci, lasciando che quell’acqua ti travolga, ti scuota, ti colmi i polmoni… capiresti forse che sai come sopravvivergli, che ci sei già stato… perché è da lì che provieni. 
Pensa al grembo di tua madre. Liquido. Liquido ovattato nel quale fluttuare mentre i rumori del mondo esterno giungono attenuati, ogni sbalzo, ogni urto è mille volte attutito, anzi, l’acqua nella quale sei immerso lo trasforma in una carezza. Questo è l’amore delle donne, Simon. Liquido ovattato nel quale ti abbracciano per far sì che ogni dolore arrivi così attenuato da sembrarti flebile, ogni tempesta un gentile soffio di vento, No, Simon, non credere che loro amino come noi. Noi le amiamo perché abbiamo bisogno di loro. Loro ci amano perché hanno bisogno di dare. 
Quando tornavo a casa la sera ero spossato, nervoso all’inverosimile. Tutti gli avvenimenti della giornata sembravano pesarmi sulle spalle come un macigno gravoso. Poi aprivo la porta di casa. E c’era Anna. 
Lei mi sorrideva e a quel punto niente di tutto ciò che era successo poteva ferirmi ancora. Fuori ero un insignificante ometto alle prese con mille problemi più grandi di me, mille persone più importanti. Ma quando Anna mi guardava… quando Anna mi guardava io era come se rinascessi, come se il suo sorriso avesse la capacità di trasformarmi in un uomo assai migliore di ciò che sapevo essere. 
Io non ero più Anchise. Ero un dio alato, ero l’unicorno bianco screziato dai raggi della luna che a lei poteva tendere senza timore, ero il guerriero che torna dopo la battaglia e trova il suo regno che lo acclama come re. Lei si sedeva sul divano e io mi sdraiavo con la testa sulle sue gambe. E quel grosso macigno, che a me sembrava così gravoso, lei riusciva a spostarlo e buttarlo dalle scale come fosse stato un sacco di piume. Ora torno a casa e il macigno rimane sulle mie spalle. Anzi, sembra che il suo peso aumenti una volta varcata la soglia. Perché non ho più un posto dove appoggiarlo. Devo tenerlo addosso e non v’è speranza che diminuisca il suo peso che, anzi, sembra aumentare di ora in ora. 
Il letto, Simon… il letto. Ci sembra così insignificante. Lo diamo per scontato, è qualcosa che sta lì per lo stesso principio per il quale il sole sorge ogni giorno. Ma non è così. Sapessi quanto amore c’è in un letto, Simon. I primi giorni mi gettavo sul divano come se fossi un rifiuto. Non m’importava. Quel divano che per quanto soffice non è mai comodo. Il divano è sempre freddo. Puoi accendere il camino e lasciare che arda tutta la notte, ma avrai sempre freddo. Ma il letto… oh, il letto era studiato perché fosse sempre soffice, sempre caldo. Era il nido che t’accoglieva e ti proteggeva, quel contrasto tra il fresco delle lenzuola stirate e il calore delle piume… finchè c’era lei era tutto questo. Niente avrebbe potuto colpirti, Anna ti abbracciava e tu potevi chiudere gli occhi certo che la notte sarebbe trascorsa leggera come una carezza, certo che il mattino seguente un bacio sulle palpebre ti avrebbe riconsegnato a quella vita che avevi avuto la fortuna di poter dimenticare per qualche ora. E quando uscivi di casa per tornare ad essere il signor Nessuno l’unica cosa che ti faceva tirare avanti era il pensiero che quelle ore sarebbero trascorse veloci e poi saresti tornato da lei. 
Sei sempre in debito, Simon. Un debito che non ti chiederanno mai di saldare ma che esiste. Come, come fai a ricambiare tutto questo? Non puoi, amico mio. Semplicemente non puoi. E allora forse è bene che tu te ne faccia una ragione e la ringrazi e basta, anziché cercare di appagare il tuo narcisismo e il tuo senso di inadeguatezza togliendole tempo per dimostrarle che anche tu puoi darle qualcosa. 
Non commettere il mio stesso errore, Simon, non farlo. Non lavorare quattordici ore al giorno nell’illusione di poterle comprare qualcosa che la renda felice. Il valore che loro danno alle cose è assai diverso da quello che noi attribuiamo loro. Ogni cosa vale per il solo fatto che hai pensato di regalargliela. Poco importa se siano diamanti blu o violette che hai comprato alla bancarella all’angolo. 
L’unico modo che hai per ricambiarle in minima parte è dimostrare chiaramente che apprezzi quello che ti danno. Non fare il mio errore, Simon, non spendere somme spropositate per poi essere tristemente avaro quando devi dimostrarle quant’è importante lei per te. O un giorno se ne andrà. E a te rimarranno bauletti pieni di costosissime pietre luccicanti inutili, e un letto che rimane freddo nonostante tutti gli espedienti tu possa orchestrare per scaldarlo.

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