sabato 2 dicembre 2017

L'albero che coraggioso ha fatto strada alle sue radici in mezzo all'asfalto.

"Perchè io, Simon, ti ho dato tutto. Il mio tempo, il mio amore, la mia tenerezza, il mio perdono. Ti dissi all'inizio della nostra storia che saresti stato l'uomo piú amato e rispettato del pianeta e mi sembra di non aver mai tradito tale promessa. Ma tu... oh, credi davvero io non sappia tutto ciò che hai fatto o pensato? Posso darti l'elenco delle tue amanti, dirti il giorno esatto in cui ti hanno mollato. Potrei redigere senza sforzo una mappa di tutti i tuoi temporali o giorni di sole o vento degli ultimi quattro anni. Perchè è questa la differenza tra noi: che io ci sono stata in ogni istante, persino quando non c'ero, persino quando neanche ti accorgevi di avermi accanto. Mentre tu per me eri quella pianta da curare in ogni stagione, da annaffiare, da proteggere dal gelo invernale e dall'arsura estiva, quella pianta di cui ammirare i fiori in primavera e il mutare delle foglie in autunno, io... io per te sono stata solo l'albero che coraggioso ha fatto strada alle sue radici in mezzo all'asfalto. L'albero alla cui ombra potevi sedere senza paura ti cascassero in testa le sue pigne, quello i cui rami erano cosí forti che mai ti avrebbero lasciato cadere. Non nego che tu ogni tanto abbia distrattamente potato qualche ramo, o eliminato qualche parassita. Ma quell'albero sa che avrebbe dovuto affrontare il piú rigido inverno contando solo sulla sua linfa e le sue radici, perchè mai saresti uscito nella tormenta per salvare uno dei suoi rami dalla neve. Tu sostieni che in qualche perverso modo tu mi ami, e io non dubito tu dica il vero. Di certo ami i frutti che per anni hai colto da quei rami. Ma non ti sei mai soffermato a pensare a tutta la sofferenza che ha dato loro vita, a quanto possa esser stato doloroso trasformare il proprio legno in germogli, fiori e infine frutti. Questa è la differenza tra noi: che tu non ti sei mai fermato un attimo a riflettere se seriamente meritassi tutto ciò che ti ho dato. Le notti insonni passate al telefono con te quando non potevi dormire, il modellare l'intera mia esistenza attorno alla tua in modo da non crearti mai il minimo fastidio nei tuoi incastri tra concerti e vita sociale. L'averti sempre accolto, anche quando l'unica cosa che sai avresti meritato sarebbe stata quella porta sbattuta con furia in volto. E no, non uscirtene con la patetica scusa di non avermi mai chiesto nulla di tutto ció. Perchè ognuno di noi sa se sta meritando quanto gli altri ci donano, e sa qual è l'esatto istante in cui il debito di riconoscenza fa pendere uno dei bracci della sua bilancia troppo repentinamente da una parte. Tu lo sai benissimo. Potrei perdonarti se credessi che non te ne sia mai accorto ma sappiamo entrambi che è cosí, che hai sempre pensato che un giorno avresti pareggiato i conti. Ma lunghi inverni sono trascorsi e il gelo si è insediato nelle mie radici. E quei rami colmi di fiori sono diventati sterili a causa dell'incuria. Io me ne vado Simon. So che piangerai e tenterai di rimediare. Ma non me ne importa: è qualcosa che avresti dovuto fare molto tempo fa. Prima che fosse troppo tardi" (La triste regalità delle semibrevi) Leggi tutto...

Non andartene

Non andartene. Lo so che è colpa mia, lo è sempre stata. Ti ho sempre messo innanzi il mio ego ipertrofico,  ti ho costretto a cercare nei posti più improbabili quelle attenzioni che meritavi e che non ti ho mai dato. Ti ho tradito fisicamente, emotivamente e spiritualmente. Tu non ti lamentavi mai, se non ogni tanto e sottovoce. Forse avevi capito che qual vaso di creta aveva bisogno di credersi un'immensa montagna di granito e mi lasciavi fare. E io continuavo quella folle corsa alla conquista del mondo che mai si sarebbe placata, perchè anche ammesso di conquistarlo bisognava poi governarlo quel mondo e combattere è più facile che governare. Ti ho sempre anteposto qualsiasi altra cosa, gli impegni sociali, l'ambizione, quella folle ossessione per il fisico che non sarebbe mai stato perfetto. Una volta mi hai dato un pugno ma neanche allora ti ho ascoltato, ti ho rimesso al tuo posto imbottendoti di valium e chissà cos'altro e guai a te se alzi la cresta. A volte eri solo un fastidio in più di cui dovermi occupare, altre qualcosa da sfruttare per inseguire i miei folli piani. Ti odiavo quando mi costringevi a fare quello che volevi tu, non te ne importava nulla della mia dignità e delle mie uscite in scena sul sipario dell'opera dei pupi. Hai iniziato a boicottarmi fino al giorno in cui la rabbia repressa è esplosa e hai iniziato seriamente a prendermi a pugni. Hai fatto bene, se non ti ascoltano quando sussurri prima o poi ti toccherà gridare. Ti ho dato sempre poco, molto meno di ciò che meritassi realmente, negandoti ogni carezza e costringendoti a cercare altrove le ombre di quegli abbracci che ti negavo. Che avevo il dovere di darti. Non andartene. Sei sempre stata la parte migliore, quella che mi faceva sorridere, quella che tentava di tenermi la mano e che io respingevo irritata. Quella che mi faceva vedere la bellezza nei posti più improbabili, le crepe sui muri, le formiche sul selciato. Non andartene. Andremo al mare e a guardare le stelle se è questo che vuoi. Non ti trascurerò mai più per nessun altro. La fame e la sete saranno solo un ricordo buio di un tempo di cui mi farò perdonare. Andremo a comprare gli spartiti nuovi e ce li porteremo in giro sotto il braccio come facevamo quando eravamo felici. E se non bastassero te ne comprerò degli altri, ti comprerò tutti gli spartiti del mondo pur di vederti di nuovo sorridere. Leggi tutto...

salsedine


Ciò che l'assaliva era quella tristezza intrisa di salsedine che ti coglie quando a fine settembre getti l'ultimo sguardo a quel mare che stai per lasciare. Sai che non saresti rimasto lí per sempre. 
Lo sapevi ancor prima di arrivare, che sarebbe stata solo una tappa, una breve carezza di brezza che ti sfiora il viso e della quale potresti non accorgerti se non fosse che sei totalmente concentrato su essa
Ma invece ti aveva risucchiato cosí tanto che avresti potuto descrivereogni singolo millimetro del suo carezzarti, la diversa forza con la quale ti aveva sfiorato le tempie per poi leggermente passare sui tuoi zigomi, per divenire più forte nell'istante nel quale si era posato sulle tue labbra. E tu avevi attribuito quel bruciore alla salsedine che te le aveva screpolate. Una scusa da raccontare agli altri, che avrebbero fatto finta di crederci per permetterti di conservare quel minimo di dignità che si deve a chi in barba a tutte le sue conoscenze economiche aveva investito tutto in qualcosa di illogico che sapeva non avrebbe mai avuto. Sabbia, sabbia tra le dita, che afferri sulla spiaggia nella celata certezza che non riuscirai a trattenerla. Ma che ti consola e poi chissà... chi l'aveva deciso che le nostre dita non fossero capaci di trattenerla? Per quale oscura profezia le dita non sarebbero riuscite a saldare fortemente le loro fessure per non farla scorrere via? Si rese conto di essere per l'ennesima volta in quell'andito dai muri screpolati nel quale si trovava spesso, quello nel quale potevi irrazionalmente sperare che le leggi del mondo potessero essere solo un errore di interpretazione, che fosse in qualche modo possibile sollevarsi su di esse, schivarle e riderne. Sapeva che non era vero. O forse sapeva che lo era. Era solo lui a non esserne capace.
(foto di demetrio migliorati)
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sabato 28 febbraio 2015

Della Rabbia

La rabbia... è una manifestazione che crediamo esser causata da circostanze esterne ma, se riflettiamo, ci rendiamo conto che così non è
La rabbia... è una manifestazione che crediamo esser causata da circostanze esterne ma, se riflettiamo, ci rendiamo conto che così non è. Lo stesso evento può causare ira in me e non in altri. O ancora, lo stesso evento può causare ira in me in un determinato giorno e lasciarmi indifferente in un altro. O ancora, lo stesso evento può causare o meno ira a seconda di chi vi è coinvolto. Se il mio animale domestico o il mio bambino piccolo causa un piccolo incidente, ad esempio rovescia sul pavimento i vassoi con la pasta che ho appena finito di preparare, sarò un attimo stizzita, ma di certo la mia ira non sarà monumentale. E, soprattutto, non porterò rancore. Se la stessa azione viene fatta da un mio nemico la mia ira sorgerà implacabile. 
Non vi è dunque l'evidenza per affermare che la rabbia sia qualcosa di esterno da noi e che possa scaturire da condizioni esterne. Deve quindi essere qualcosa che concerne la nostra interiorità. Quando sorge? Se riflettiamo ci accorgeremo che essa sorge nel momento in cui ci sentiamo fragili, quando sentiamo che il nostro io viene messo in discussione. Un insulto che ci viene rivolto in privato causa in noi assai meno ira dello stesso, identico insulto rivoltoci in pubblico. Non può dunque dipendere nè dall'azione in sè nè dalla sua natura. Potremmo dire allora che dipende dalle circostanze. Ma da quali circostanze? Dall'ambiente esterno o dal nostro sentire interiore (anche in relazione ad esso)? Non credo vi siano dubbi sul fatto che sia la seconda ipotesi. Riteniamo addirittura sia necessario vendicarci di talune onte pubbliche. 
Ma siamo noi ad aver deciso o è la società che sembra aver stilato una lista di azioni e di reazioni da avere nei loro confronti? Perchè se il mio partner mi tradisce posso sentirmi semplicemente ferita quando sono sola o con un amico fidato e invece sento la necessità di dimostrarmi irata in pubblico? E' una reazione o è piuttosto una risposta sociale affinchè gli altri non percepiscano il mio vero stato d'animo. 
La cosa aberrante è che socialmente la rabbia sembra essere più accettabile della fragilità. Accettiamo la figlia trincerandoci dietro le parole "Siamo solo umani" e rigettiamo la madre, che è la vera impronta di quell'umanità che vorremmo tanto celare a noi stessi e al mondo. Probabilmente l'unico modo per superare la rabbia è aumentare la nostra consapevolezza sul fatto che non vi è nulla di sbagliato nell'essere, a tratti, fragili. E nel contempo occorre capire come la società ci condizioni. Società che dalle nostre manifestazioni di ira non trae alcun vantaggio se non il gusto perverso e voyeuristico di assistere alla sua manifestazione, attestante la nostra fragilità. E questa attestazione fa sì che chi ci circonda si senta più forte, migliore di noi. E se fosse questo il motore di tutti i mali del mondo? Il sentire in qualche parte del nostro io che non solo dobbiamo essere migliori degli altri ma che dobbiamo a tutti i costi dimostrarlo? Leggi tutto...

mercoledì 18 giugno 2014

Flashback di sguardi spiati controluce


Quella luna ammainata
Immobile e meditabonda
Sembrava cantar con insolita voce di basso.

La risacca lenta m'impauriva.
Troppo, troppo fragile
Il suo lento sussurro
Risaliva il mio pensiero
A flashback di sguardi
Spiati controluce
Mentre il vento danzava controtempo
Sui riflessi del suono di azzurro impegnati a contare
La trama fitta dei tuoi capelli.

Contro quale scoglio s'era infranta la tempesta?
Dov'era la dolce risata del tuono
In quale anfratto avevo perso
L'eco del subbuglio che agitava le mie carni?

Taceva.
Immerso in quiete dominanti taceva.

Taceva e il lento canto,
Straziante nel suo incedere per terze
Sembrava voler riporre nel fodero ogni spada
Ogni eco di battaglie e guerrieri che s'allontanavano Leggi tutto...

sabato 7 giugno 2014

Il senso della lucertola

E lì è l'inghippo. Nel continuare a credere che il mondo sia meccanicisticamente determinato, che il binomio azione/reazione sia valido. Ma quale reazione delle mille possibili? E se riteniamo questo meccanismo duale arriviamo a rinnegare ogni reazione diversa da quella che ci aspettavamo di causare. E lì le nostre sicurezze vanno in pezzi, travolte da ciò che non ipotizzavamo di trovare e a cui non riusciamo nè a trovare un senso nè a reagire
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giovedì 10 ottobre 2013

Gusci sulla spiaggia

E ti chiedi come sia possibile che ciò che ti sia sembrato così luminoso in taluna circostanza dimostri la sua banale ordinarietà in un altro contesto

"Vedi, Morges, le prime volte è semplice paura. Hai il terrore di restarci fregato un'altra volta, hai paura di coinvolgerti, paura di perdere nuovamente il senno e la dignità dando tutto ciò che possiedi a qualcuno che lo svenderà su un lurido tappeto di qualche improbabile bazar indiano. Perchè è questo, questo ciò che fanno, Morges. Tu dai loro quanto di più prezioso hai, le innalzi a divinità alle quali tutto sacrificare e alle quali far tendere ogni singolo fine della tua breve esistenza. 
Non hai tempo per te, ma per loro lo trovi sempre. Puoi rinunciare a mangiare purchè esse siano ben nutrite, patire il freddo perchè esse abbiano di che scaldarsi, non dormire la notte per riflettere su come risolvere un loro problema. Saresti capace di impazzire se solo capissi che sono infelici, impazzire chiedendoti cos'hai fatto di sbagliato perchè non sorridono. Ogni loro singolo sbalzo d'umore diviene il metro del tuo valore. Sì, arrivi a misurarlo su quello, sul loro grado di felicità. Se sono felici vali qualcosa. Ma se non lo sono... 
O, se non lo sono, Morges, non puoi fare a meno di convincerti che sia colpa tua. Perchè sei tu ad aver sbagliato, a non esser stato capace di consolarle, di dar loro quello di cui necessitavano. 
E ti senti più inutile di una lattina vuota abbandonata sulla spiaggia, così schiacciata che neanche il più disperato dei paguri potrà mai utilizzarti come conchiglia. Ossi di seppia, scriveva qualcuno... 
E quando avrai dato tutto ciò che avevi e loro se ne andranno... Oh! Il tuo senso di inutilità raggiungerà vette atrocemente alte, ti chiederai continuamente se e dove hai sbagliato. Ti chiederai continuamente se e perchè sei sbagliato. 
Questo terrore durerà un po' di tempo, Morges, poi un giorno ti sveglierai accorgendoti che qualcosa di più terribile è accaduto. Ti accorgerai che ciò che ti impedisce anche solo di socchiudere la porta della tua vita a qualcuno che vorrebbe entrarvi sorridendo non è più la paura, ma qualcos'altro. 
E' la sensazione di essere ormai ridotti a un guscio vuoto. Di aver completamente esaurito le risorse da spendere. Lei dice di amarmi Morges, ma io non capisco come si possa amare un fantasma, un uomo che altro non è se ormai l'ombra di se stesso. 
Egoisticamente arrivi a pensare che forse lo stai facendo anche per lei. Che le stai risparmiando una delusione terribile. Se ci pensi con razionalità la guardi... è così carina, sorridente e ingenua che non puoi permettere che si avveleni con uno che ormai non crede più in nulla. Lei si avvicina come fanno i gattini che vorrebbero una carezza e anche se tu provi un impeto di tenerezza il tuo braccio rimane bloccato, tranne poi alzarsi per scostarla, quasi per difenderti. 
Perchè non puoi, non puoi illuderla. Perchè sai di non avere più niente da darle. Tutto ciò che avevi ti è stato portato via dopo averlo dolorosamente regalato. E non rimpiangi l'averlo donato. No, ti rimproveri l'assurda ingenuità che ti ha fatto dare tutto te stesso a chi ha valutato il tuo dono meno di un guscio di conchiglia ordinaria trovato sulla spiaggia... Uno di quei gusci che sulla battigia sembrano brillantissimi e che quando, dopo averli dimenticati nel fondo della sacca, li ripeschi al momento di riporla, ti dimostrano tutta la loro opacità. E ti chiedi come sia possibile che ciò che ti sia sembrato così luminoso in taluna circostanza dimostri la sua banale ordinarietà in un altro contesto" Leggi tutto...

sabato 5 ottobre 2013

Il dubbio

Come sia possibile che qualcuno abbia visto l'arcobaleno in quella vallata perennemente colma di nebbia che è il mio animo... 


Vedi, Simon... quello che ti dà sempre a pensare è il dubbio, il dubbio insinuante come le verdi serpi tra l'erba alta, che ti avvisano della loro strisciante presenza solo attraverso un sibilo a volte coperto dal vento. Il dubbio di non aver fatto tutto ciò che potevi. Tutto ciò che dovevi. Ti chiedi se quel mattino uggioso avresti potuto chiudere l'uscio rivolgendole un sorriso anzichè mostrarle tutto il tuo malumore. Se quella piccola, microbica differenza sarebbe stata in grado di cambiare le rotte dei venti di tempesta che seguirono il tuo chiudere quell'uscio. Ti chiedi se è verosimile pensare che al tuo ritorno l'avresti trovata ancora, magari con quello sguardo spaventato che la contraddistingueva quando litigavate e non sapeva se fosse un bene per lei mostrarti il suo perdono o se avresti, per l'ennesima volta, approfittato del suo amarti per non tornare mai più su quella questione per te così stupida che però aveva il tremendo potere di farla soffrire. Sai, Simon, a volte ci penso. La verità è che ci penso sempre. A tutti quei gesti che al momento mi sembravano insignificanti. Alle sue parole che io leggevo sempre come un'accusa nei miei confronti. Quel suo celarsi lento dietro pretese di mille impegni, quel suo rinchiudersi in quell'angolo inaccessibile quando stava male. E mi chiedo se l'intera mia lettura non sia stata totalmente errata. Mi chiedo se i suoi rimbrotti, posto il fatto che so, o Simon, ne ho consapevolezza piena! che avrei dovuto darle molto di più... Posto questo Simon mi chiedo se i suoi rimbrotti in realtà non avessero la delicata mira di far di me un uomo migliore... Quell'uomo che solo lei riusciva a vedere tra le mie nevrosi e le mie mille paure. Io mi sento così ordinario, Simon... Mi guardo allo specchio e non riesco, no, non riesco a scorgere minimamente quell'uomo che lei diceva io fossi. Ma lei continuava a sostenerlo... Lei continuava, ogni giorno, a prendere le difese di quel guerriero che secondo lei era celato nel più recondito spazio del mio io. E a volte sì. A volte credevo proprio di esserlo. Ora non riesco più neanche lontanamente a pensarlo. Mi guardo e vedo le mie occhiaie, la mia lunga barba e mi chiedo come qualcuno abbia mai potuto trovare piacevole la visione di me. Ancora peggio mi guardo dentro, e mi chiedo come qualcuno possa esser stato così paziente da sopportarmi, come sia possibile che qualcuno abbia visto l'arcobaleno in quella vallata perennemente colma di nebbia che è il mio animo. (la triste regalità delle semibrevi) Leggi tutto...

venerdì 4 ottobre 2013

Piangano


E chissà se mia madre o mia sorella sanno che ieri l'acqua salata mi ha invaso i polmoni. 




E chissà se mia madre o mia sorella sanno 

che ieri l'acqua salata mi ha invaso i polmoni. 
Dicevano che il rimedio al fuoco sia l'acqua 
e per fuggire a quello in lei mi sono rifugiato. 
Forse è stato un attimo... 
l'oblio che mi ha chiuso gli occhi 
mentre naufragavo in un mare più grande. 
Spero mia madre lo creda. 
Spero che lei mi creda finalmente felice, 
in un Paese migliore, 
in un Paese dove non devo aver paura a parlare, 
a esporre bandiere o idee 
nessuno glielo dica mai, vi prego... 
E mentre sazio ormai d'ogni rifugio 
galleggio su un'acqua non familiare 
i miei fratelli fortunati non piangano. 
Piangan gli altri. 
Coloro che son stati resi inumani dall'indifferenza. 
Si sveglino finalmente. 
E piangano
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venerdì 9 agosto 2013

Riflessioni artistico/nervose di una mattina d'estate

E sono soprattutto incazzata perchè quando dici queste cose si incazzano!


Che la danza non mi ami è risaputo. Non l'ha mai fatto e a mio parere fa anche bene. Sono troppo rompiballe perchè un'arte, che dovrebbe essere 80% capacità di improvvisazione artistica e 20% studio tecnico, possa farlo. O forse le proporzioni sono al contrario. Bon, ognuno proporzioni quanto gli pare. Fatto sta che il continuo confronto con chi preferisce la mazurka agli arabesque oggi m'ha stufato. Sì, sono stufa. Stufa e stanca. Sono stanca di passare ore della mia vita, nonostante lo faccia con piacere e immensa passione, a indagare sulla singola curva che ogni tendine del piede deve assumere per fare quel determinato passo e poi danzare con chi è dell'idea che "bon, tanto non se ne accorgerà nessuno!". Sono stanca di danzare con chi è convinto che basti avere una buona figura per eseguire passi difficili. Con chi non ritiene necessario impegnarsi nei pliè perchè tanto "a me vengono naturali". Forse a me non lo vengono perchè, come dicevamo in premessa, la danza non mi ama. Ma se fino a qualche tempo fa questo era un mio handicap, adesso (e non me ne sbatte nulla se sa di presunzione o narcisismo sfrenato) i miei pliè sono migliori. Tu avrai senz'altro la curva della coscia più piacevole. Ma tecnicamente stai un piano sotto. Sarà per questo che inconsciamente rifiutano la sfida e il confronto? Non con me, a me non importa. Ma con chi potrebbe dir loro "si, hai dei piedi magnifici ma danzi in modo sterile. Non c'è passione in ciò che fai, i passi sono giusti ma non trasmetti nulla!". Sarà che ho sempre preferito un passo magari sporco ma che emozioni a uno tecnicamente perfetto ma che non rivela cosa il danzatore stia provando in quel momento. Se sei il Principe Schiaccianoci le tue movenze (anche se la sequenza dei passi è identica) non posson mai essere uguali a quelle che avresti interpretando Siegfried. Perchè l'ambientazione, i personaggi, il pathos, tutto, tutto è diversissimo. E se non te ne accorgi... beh, forse è meglio far danzare un altro. Ma è decisamente peggio se non ti interessa. Cosa devo pensare quando la priorità per qualcuno potrebbe essere la lunghezza del tutù? Ma se ne occupi il costumista, per me l'unica cosa importante è che sia consono e mi lasci libera di danzare. Quando alla tua compagnia si unisce gente che ha danzato forse anche alla Scala e la tua priorità sembra essere il balletto di beneficenza alla caritas? (senza nulla togliere alla Caritas; è giusto danzare anche lì. Ma ribadisco, la mazurka che in quel caso presento perchè tutti possano danzarla con me non è minimamente paragonabile a Giselle. Non può e non deve. Perchè la mazurka sarà anch'essa, sotto qualche strano punto di vista, arte, ma se per me è anche solo lontanamente paragonabile a Giselle sto bestemmiando, se non delirando). O è forse perchè se balli alla Caritas l'ambiente è più piccolo e tutti possono vedere quanto tu sia bella e brava? Mentre invece nel Balletto con la B, a meno che tu non faccia Odette, il gentil volgo ti confonderà in mezzo ai mille cigni e non potrai esser certo che il consumarsi di mani altrui sia per l'altro cigno e non per te? Non sono incazzata perchè manca la perfezione tecnica. Del resto non danzo alla Scala nè mai lo farò (al limite posso danzare sulle scale, sempre che non ruzzoli giù spaccandomi la faccia). Sono incazzata perchè mi fa rabbia chi si rende conto di essere carente e non fa nulla per rimediarvi. Sono incazzata perchè c'è gente che ha piedi bellissimi, movenze naturali perfette e non capisce che mettendosi alla sbarra due ore migliorerebbe i suoi Cambré. E sono soprattutto incazzata perchè quando dici queste cose si incazzano! Leggi tutto...

domenica 2 giugno 2013

Anna (La triste regalità delle semibrevi)

Il tuo problema è questo, Simon. Che tu non accetti più di un sorso d’amore perché hai paura che l’ondata ti possa annegare. 

Il tuo problema è questo, Simon. Che tu non accetti più di un sorso d’amore perché hai paura che l’ondata ti possa annegare. Ma se solo ti lasciassi andare, se per una volta ti lasciassi travolgere dalla piena, senza pensarci, lasciando che quell’acqua ti travolga, ti scuota, ti colmi i polmoni… capiresti forse che sai come sopravvivergli, che ci sei già stato… perché è da lì che provieni. 
Pensa al grembo di tua madre. Liquido. Liquido ovattato nel quale fluttuare mentre i rumori del mondo esterno giungono attenuati, ogni sbalzo, ogni urto è mille volte attutito, anzi, l’acqua nella quale sei immerso lo trasforma in una carezza. Questo è l’amore delle donne, Simon. Liquido ovattato nel quale ti abbracciano per far sì che ogni dolore arrivi così attenuato da sembrarti flebile, ogni tempesta un gentile soffio di vento, No, Simon, non credere che loro amino come noi. Noi le amiamo perché abbiamo bisogno di loro. Loro ci amano perché hanno bisogno di dare. 
Quando tornavo a casa la sera ero spossato, nervoso all’inverosimile. Tutti gli avvenimenti della giornata sembravano pesarmi sulle spalle come un macigno gravoso. Poi aprivo la porta di casa. E c’era Anna. 
Lei mi sorrideva e a quel punto niente di tutto ciò che era successo poteva ferirmi ancora. Fuori ero un insignificante ometto alle prese con mille problemi più grandi di me, mille persone più importanti. Ma quando Anna mi guardava… quando Anna mi guardava io era come se rinascessi, come se il suo sorriso avesse la capacità di trasformarmi in un uomo assai migliore di ciò che sapevo essere. 
Io non ero più Anchise. Ero un dio alato, ero l’unicorno bianco screziato dai raggi della luna che a lei poteva tendere senza timore, ero il guerriero che torna dopo la battaglia e trova il suo regno che lo acclama come re. Lei si sedeva sul divano e io mi sdraiavo con la testa sulle sue gambe. E quel grosso macigno, che a me sembrava così gravoso, lei riusciva a spostarlo e buttarlo dalle scale come fosse stato un sacco di piume. Ora torno a casa e il macigno rimane sulle mie spalle. Anzi, sembra che il suo peso aumenti una volta varcata la soglia. Perché non ho più un posto dove appoggiarlo. Devo tenerlo addosso e non v’è speranza che diminuisca il suo peso che, anzi, sembra aumentare di ora in ora. 
Il letto, Simon… il letto. Ci sembra così insignificante. Lo diamo per scontato, è qualcosa che sta lì per lo stesso principio per il quale il sole sorge ogni giorno. Ma non è così. Sapessi quanto amore c’è in un letto, Simon. I primi giorni mi gettavo sul divano come se fossi un rifiuto. Non m’importava. Quel divano che per quanto soffice non è mai comodo. Il divano è sempre freddo. Puoi accendere il camino e lasciare che arda tutta la notte, ma avrai sempre freddo. Ma il letto… oh, il letto era studiato perché fosse sempre soffice, sempre caldo. Era il nido che t’accoglieva e ti proteggeva, quel contrasto tra il fresco delle lenzuola stirate e il calore delle piume… finchè c’era lei era tutto questo. Niente avrebbe potuto colpirti, Anna ti abbracciava e tu potevi chiudere gli occhi certo che la notte sarebbe trascorsa leggera come una carezza, certo che il mattino seguente un bacio sulle palpebre ti avrebbe riconsegnato a quella vita che avevi avuto la fortuna di poter dimenticare per qualche ora. E quando uscivi di casa per tornare ad essere il signor Nessuno l’unica cosa che ti faceva tirare avanti era il pensiero che quelle ore sarebbero trascorse veloci e poi saresti tornato da lei. 
Sei sempre in debito, Simon. Un debito che non ti chiederanno mai di saldare ma che esiste. Come, come fai a ricambiare tutto questo? Non puoi, amico mio. Semplicemente non puoi. E allora forse è bene che tu te ne faccia una ragione e la ringrazi e basta, anziché cercare di appagare il tuo narcisismo e il tuo senso di inadeguatezza togliendole tempo per dimostrarle che anche tu puoi darle qualcosa. 
Non commettere il mio stesso errore, Simon, non farlo. Non lavorare quattordici ore al giorno nell’illusione di poterle comprare qualcosa che la renda felice. Il valore che loro danno alle cose è assai diverso da quello che noi attribuiamo loro. Ogni cosa vale per il solo fatto che hai pensato di regalargliela. Poco importa se siano diamanti blu o violette che hai comprato alla bancarella all’angolo. 
L’unico modo che hai per ricambiarle in minima parte è dimostrare chiaramente che apprezzi quello che ti danno. Non fare il mio errore, Simon, non spendere somme spropositate per poi essere tristemente avaro quando devi dimostrarle quant’è importante lei per te. O un giorno se ne andrà. E a te rimarranno bauletti pieni di costosissime pietre luccicanti inutili, e un letto che rimane freddo nonostante tutti gli espedienti tu possa orchestrare per scaldarlo. Leggi tutto...

giovedì 14 febbraio 2013

Requiem

Ci ho provato. Sul serio. Ho provato a strappar  via....


Ci ho provato. Sul serio. Ho provato a strappar via quella parte di me che non andava bene così come si fa con i denti cariati o gli occhi destri che causano scandalo. E forse stavolta c’ero anche riuscita. Non era una maschera da portare per celare il viso tumefatto. 
No. Era qualcosa che proveniva da dentro, la sensazione che, forse, se fossi riuscita ad essere ciò che non ero, tutto sarebbe cambiato. Cambiare. Quella parola che tutti, sempre, avete pronunciato e con la quale siete sempre riusciti a convincermi di essere sbagliata nei miei eccessi, nei miei deliri di diazepam e brandy da scaldare. Nelle note stridenti di versi troppo osceni per essere pubblicati, nel mio sfrenato esibizionismo, nella perenne dissacrazione di tutto e tutti. 
Non ti ho mai mentito. Mai, neanche una volta. Ero veramente io quella persona totalmente diversa da come il mondo la conosceva. Con uno stupro alla mia anima ero riuscita a fare anche questo. Quello che mi fa ridere è come tutti siate affascinati morbosamente da me e poi vogliate cambiarmi. È una costante fissa della quale non ho mai capito il senso. 
Devo ammettere che forse non l’hai mai fatto. Mai direttamente. Ma il tuo scostarti da me quando gli altri ci guardavano, quell’impressione che io fossi sempre al posto sbagliato è bastata. 
Tu hai sempre pensato che ce l’avessi con te. Non è mai stato vero. Mi sei sempre stato bene così come sei, con le tue mille contraddizioni, le tue paure celate e i tuoi silenzi che urlavano. 
Richiamo le truppe e torno al castello. Lì dove volano le aquile sui merli delle torri e dove a nessuno importa che io sia una sociopatica che nessuno vorrebbe mai presentare alla propria madre. E non lo faccio con amarezza, tutt’altro. 
Lo faccio con la consapevolezza di chi ha perso una battaglia perché non aveva capito le caratteristiche del territorio che voleva conquistare. Nel mondo normale dovrei concludere dicendo che non troverai mai un’altra regina come me. Ma non è vero. Ne troverai altre mille e sarai felice di loro. Leggi tutto...